La testimonianza di uno dei tanti figli di genitori separati

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Dopo aver postato le nostre riflessioni sul caso del bambino di Cittadella, abbiamo ricevuto diversi messaggi di chi ha voluto raccontarci la sua storia. In comune c’è sempre il disprezzo verso assistenti sociali e giudici dei minori.
Abbiamo deciso di pubblicare, a “puntate”, la storia di uno dei tanti figli “trofeo” di genitori separati.
Di volta in volta, ci racconterà e ci descriverà fatti e persone.Vogliamo dare voce a chi non ne ha mai avuta e che quando ha potuto, non voleva ricordare.
Da leggere con attenzione, per capire quanto male fa ai propri figli essere dei pessimi genitori.

PRIMA PARTE

“A chi vuoi più bene, a mamma o a papà?”.

Ricordo come se fosse ieri, la stanza poco illuminata del giudice dei minori del Tribunale di Bari, i mobili stile barocco, scuri, la faccia da santa inquisizione dell’idiota che mi sedeva davanti e l’assistente sociale in piedi, a mo’ di corazziere a difesa del Presidente della Repubblica.
Il mio sguardo fissava le scarpe che non toccavano il pavimento. Le scarpe belle, quelle da “bella impressione”, quelle con le quali non si poteva giocare a pallone.

Cosa avrei dovuto rispondere? Come si misura il “bene”? Non ne ho idea neanche oggi che ho 40 anni.

Ero così lontano da una risposta che fosse per me come una carezza prima di addormentarsi, quella che aspettavo e che non arrivava mai.
Ero così lontano da quella situazione e troppo vicino a quello che mi aspettava dietro la porta una volta uscito.

Rispondere “papà”, perché ero con lui, solo io di 3 fratelli.
Papà, sì, quell’uomo che una settimana prima dell’udienza, iniziava a comportarsi come un candidato sindaco, facendo di tutto per sembrare un papà, il resto dei giorni però mi parcheggiava dalla nonna.
Papà, sì, perché se non scelgo lui, quando torniamo a casa mi picchia, esattamente come picchiava la mamma.
Mamma, sì, non ricordo neanche più come è fatta e che voce ha. Mamma, sì, mi ha lasciato perché per la fretta di scappare dall’ennesimo pestaggio di suo marito, non ha fatto in tempo a portarmi con sé. Mamma, sì, ma dovrei andare in una città che non conosco e cambiare scuola. Mamma, sì, mi manca, forse.
Una volta, ho risposto “Pippo Baudo”. Ero più grandicello, avevo 9 anni. I due idioti della santa inquisizione minorile non l’hanno presa bene. Uno schiaffone è servito a sottolineare il poco apprezzamento per la mia risposta.
Ho rivisto mia madre e i miei fratelli solo in seconda media. Il giovedì e una domenica sì e una no, vedevamo nostro padre, sempre nelle vesti di candidato sindaco.
La cosa curiosa è che per i miei fratelli, quelli cresciuti con mia madre, mio padre è un padre stupendo. Per me resta un candidato sindaco stupendo, ma non un papà. A distanza di anni, quando la maturità acquisita dovrebbe scendere in campo, c’è ancora quella domanda che echeggia nell’aria, che pretende una risposta dal senso di colpa per non essere cresciuti con entrambi i genitori che nessuno di noi ha mai conosciuto veramente per quello che sono.

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