Cittadella, quando a rimetterci sono solo i figli

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“Dimmi Capodibomba, a chi vuoi più bene, a papà o a mammà? A PIPPO BAUDO!”

 

Era il 1984, quando nel “più brutto film della storia del cinema italiano”, secondo il Morandini, un bambino risponde così alla fatidica domanda che viene fatta ai figli di genitori separati.
Probabilmente, è la risposta più intelligente da dare, quando un giudice dei minori o un’assistente sociale, mette un bambino davanti ad una scelta insensata che gli assegna un ruolo non adatto alla propria capacità generazionale. E’ un minore, appunto. Non può e non deve scegliere. Non è come scegliere tra pizza o pasta asciutta, non è una scelta che condizionerà i prossimi 20 minuti della sua vita.
Arriviamo ad oggi, anno 2012, XXI secolo.
Un giudice della Corte di Appello di Venezia, decide che un minore di Cittadella venga affidato al padre e, quindi, tolto alla madre. Sicuramente, questa decisione è stata presa grazie anche al contributo dei Servizi Sociali che sfornano pareri senza avere, spesso, la benché minima preparazione e qualifica professionale. L’incarico di “passaggio del minore” viene dato alla Polizia di Stato, che ben decide di marchiare a fuoco nella memoria del bambino il passaggio da mamma a papà: sollevato da terra da braccia e gambe, viene “gentilmente” accompagnato in auto, per essere portato in una comunità (o casa famiglia). Il video di questa manifestazione di ludico affetto istituzionale, ha fatto il giro del web.

 

Perché il bambino di Cittadella è stato tolto alla madre e affidato al padre? Semplice, al bambino è stata diagnosticata una particolare “sindrome da alienazione genitoriale”. Ci chiediamo se esista anche la “sindrome da alienazione da Tribunale dei Minori e da Assistenti Sociali”. Sicuramente esiste, perché il bambino di Cittadella, alla vista degli Assistenti Sociali scappava a gambe levate. Bene o male, tutti i bambini scappano da queste figure, forse perché, se rispondessero “Pippo Baudo”, si ritroverebbero con la “sindrome da Maria De Filippi”.

 

Però, facciamo un passo indietro, anche due o tre.
Di chi è la colpa, degli incompetenti istituzionalizzati o dei genitori?
Senza ombra di dubbio è dei genitori. Sì, perché quando decidono di separarsi, i figli diventano dei trofei del campionato “il miglior genitore”. Un trofeo ambito, da mostrare ad amici e parenti. Un trofeo che attesta, indubbiamente, che l’ex coniuge non vale niente, che non era meritevole di far parte della famiglia.
Fa niente se le partite di questo campionato sono giocate a insulti, denunce, minacce, dispetti e qualsiasi altra cosa di cattivo e perfido che la mente umana può partorire. Fa niente se si chiede ai figli di prendere parte alle partite e che il rischio di infortunio a vita è altissimo. L’importante è vincere il campionato. Il fine giustifica i mezzi, no?
Oggi, poi, si va in televisione (ieri, al bar), due lacrimucce di mamma e papà, frasi ad effetto del tipo “mio figlio ora dorme sereno e l’ho messo a letto io dopo tanti anni”, “mio figlio mi è stato strappato via, ora non riesco più a vivere”. Applauso del pubblico pagante e pronti per la prossima partita.

 

Inutile continuare, la finiamo qui con questo schifo, è da sempre che è così e sarà sempre così.
Questa volta c’è stato un video che ha smosso persino i politici, che si sono prodigati con interrogazioni varie, invocazioni di una riforma della giustizia minorile e commuoventi interviste.
Bufera mediatica che finirà subito. Sì, perché non serve un video, serve andare nelle varie comunità (o casa famiglia) a toccare con mano. Ma sono politici, cosa pretendiamo?

 

I figli non devono usare le mani per coprire il viso dalla vergogna di un pianto, devono usare le mani per scoprire il mondo, con la guida amorevole dei genitori, separati e non.