L’importanza dell’imitazione per lo sviluppo dei neonati

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Quando nasce un bambino, parenti ed amici, dopo nove mesi di congetture e fantasie sull’aspetto del piccolino, si precipitano a casa dei neo genitori, curiosi di notare somiglianze e quant’altro. Tutti, le donne come gli uomini, prendono in braccio il bambino e da subito cercano, anche inconsapevolmente,  di comunicare con lui.
Le interazioni degli adulti con i neonati di solito sono tutte improntate all’utilizzo di vocalizzi, smorfie e un linguaggio particolare chiamato baby talk.

Ma i neonati sono davvero in grado di comunicare con noi fin dalla nascita? Cosa riescono a vedere del nostro volto chino sopra il loro? Sono sul serio interessati alla nostre “facce buffe” e ai nostri gorgheggi, oppure il loro è un mondo misterioso, inaccessibile agli adulti?
Fino a pochi decenni fa il neonato era considerato una tabula rasa, poco competente a livello percettivo, del tutto incapace di memorizzazione e comunicazione con l’esterno, ma, grazie a studi ed esperimenti condotti con l’aiuto della tecnologia, oggi l’immagine del neonato si è totalmente rivoluzionata.

Gli studi di R.L. Fantz degli anni ’60 del 1900, per esempio, hanno dimostrato che i neonati hanno buone capacità percettive e studi successivi hanno mostrato che i piccoli sono in grado di discriminare le diverse espressioni facciali che vengono loro mostrate. Di fondamentale importanza è stata, però,  la scoperta negli anni ’70 del secolo scorso, da parte dei ricercatori A.N. Meltzoff e M.K. Moore, della presenza del comportamento imitativo nella primissima infanzia. Fino ad allora, infatti, si riteneva che i neonati non fossero capaci d’imitare dei gesti, poiché imitare presuppone un’adeguata competenza percettiva del soggetto imitatore e una buona coordinazione motoria dei muscoli reclutati per dar vita al gesto. Non solo, imitare significa anche sapere quali parti del corpo usare per riprodurre il movimento osservato. La cosa si fa ancora più complessa se il gesto da riprodurre è un gesto facciale, dato che l’imitatore può osservare il volto del modello ma non il proprio e, al contrario, può “sentire” i movimenti dei propri organi e dei propri arti, ma non quelli dell’imitato. Eppure, nonostante tutto, Meltzoff e Moore scoprirono che i neonati erano imitatori accurati: riuscivano a riprodurre efficacemente gesti come l’apertura della bocca e la protrusione della lingua.
Com’era possibile tutto ciò? I neonati erano dunque capaci di azioni intenzionali già a poche ore dalla nascita? I molti studi di Meltzoff e Moore hanno dimostrato che in effetti quelle dei neonati sono delle vere e proprie imitazioni perché essi possiedono, fin dalla nascita, la capacità rappresentativa, cioè quella capacità che  permette a tutti noi di collegare quello che percepiamo con quello che facciamo, il vedere un gesto, con l’immagine mentale di esso e, infine, con la sua esecuzione motoria.
I bambini appena nati perciò non sono affatto delle tabulae rasae, ma sono già degli esseri attivi e coinvolti nel mondo che li circonda.
L’imitazione infantile è molto di più della mera riproduzione di un gesto o di un movimento: è lo strumento più efficace che il bambino ha a disposizione per comunicare con gli altri, a cominciare dalla madre. Studi su coppie madre-bambino hanno infatti dimostrato che i piccoli e le loro madri, se lasciati interagire in libertà, fanno largo uso del loro repertorio imitativo per intrecciare un dialogo. Le sequenze imitative di solito cominciano con il bambino che emette un suono o fa una smorfia, per esempio, e proseguono con la madre che riproduce il suono/espressione, a sua volta imitata dal figlio e così via, in un circolo a feedback positivo. Questo “gioco” a due è una sorta di dialogo primitivo in cui la madre per prima imita il figlio, presupponendo che il suono o il gesto del piccolo sia fornito di senso e rispondendo perciò con un’imitazione, che sarà subito ripresa dal figlio, al quale piace essere imitato. Questo scambio a due è solitamente vissuto con gioia da entrambi i partner, che diventano sempre più bravi nell’imitazione reciproca, sempre più “sintonizzati” l’uno con l’altro man mano che passa il tempo. Ecco dunque che l’imitazione sta alla base dell’empatia e dell’intersoggettività ed è di grande importanza per il neonato che nell’imitazione della madre si sente “rispecchiato”, compreso.
Durante la primissima infanzia l’imitazione è anche un valido strumento educativo, infatti, attraverso di essa i genitori e le altre figure adulte che si occupano del bambino possono rinforzare certi comportamenti del piccolo che ritengono positivi, come ad esempio schioccare un bacio con le labbra e fare “ciao” con la mano, imitandoli quando eseguono questi gesti, oppure non imitandoli affatto quando piagnucolano oppure tirano i capelli, comportamenti generalmente ritenuti sconvenienti.
Per ultimo, ricordiamo che l’imitazione dei suoni è molto importante affinché i bambini imparino a parlare la loro lingua madre. Inoltre, i bambini che fin da piccolissimi vengono esposti ai differenti suoni di due lingue hanno maggior probabilità di diventare perfettamente bilingui, dato che le strutture dei neonati sono molto più plastiche di quelle degli adulti e dei bambini più grandi.

Per concludere, possiamo quindi affermare che l’imitazione ha un grande valore per lo sviluppo del neonato e che i bambini l’apprezzano moltissimo fin dalla nascita proprio perché è il canale preferenziale attraverso il quale, in assenza del linguaggio vero e proprio, riescono a farsi comprendere da chi li circonda in maniera efficace.

Dott.ssa Linda Savelli
linda.savelli72@gmail.com

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Linda Savelli, classe ’72, laureata in Filosofia e specializzata in Epistemologia Generale ed Applicata.

Ha partecipato a progetti di ricerca legati all’imitazione e pubblicato due articoli per la rivistaPsicologia Contemporanea: “Imitatori Nati” (con Paola Farneti) e “Giochi che Imitano la Vita”. Ha pubblicato per Franco Angeli, in collaborazione con la Prof.ssa Paola Farneti il libro “La Mente Imitativa – Come e perché il nostro comportamento è influenzato dagli altri” (F. Angeli, 2013, Milano).