I bambini e il gioco: crescere facendo finta di…

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Facciamo che io ero il pompiere e ti venivo a salvare?”

Giochiamo a mamme?”

Quante volte a tutti noi è capitato di sorridere divertiti sentendo frasi come queste pronunciate da bambinetti di 3 o 4 anni?
Quante volte ci è capitato di farci coinvolgere in sessioni di gioco con i nostri figli, nipoti, piccoli alunni della materna?

Il pretend play o gioco di finzione è molto più di un passatempo infantile, è, infatti, un gioco simbolico di tipo imitativo che prepara i piccoli alla vita. La bambina che gioca a fare la mamma preparando la pappa per il bambolotto preferito, il bambino che finge di radersi davanti allo specchio come vede fare al padre tutte le mattine, i gruppetti di bambini dell’asilo che trascorrono ore intere in appassionanti sessioni di gioco di loro invenzione, stanno cercando di comprendere il mondo in cui vivono ed i ruoli delle figure adulte che li circondano. Il gioco di finzione, appassionante e coinvolgente, è il gioco predominante per tutta l’infanzia del bambino (chi di noi non ha almeno un qualche ricordo legato a sessioni ludiche della sua infanzia?) ed è di grande importanza per il suo sviluppo nei vari aspetti sociale, affettivo e cognitivo. Se dopo l’anno di età il piccolo è in grado di imitare il volo di un aeroplano spalancando le braccia e mettendosi a girare per la stanza, man mano che cresce raffinerà sempre di più le sue abilità, fino ad essere capace di dare vita a sessioni di gioco che posseggono delle qualità teatrali: le penne diventano spade, i letti diventano astronavi, i compagni di gioco diventano altrettanti personaggi di una storia che si viene narrando sul momento. E’ proprio questa narrazione estemporanea che permette ai bambini di “provare” senza pericolo ruoli e situazioni “adulte”, l’eroe, infatti, si deve battere per gli amici, deve sacrificare qualcosa di sé, assumersi delle responsabilità (per esempio, potrebbe essere costretto a non rivelare la propria identità). Il mondo magico che il bambino crea giocando perciò è certamente un mondo immaginario di cui lui è signore e padrone assoluto e che obbedisce alle sue regole, ma è anche il banco di prova per la vita futura: è il mondo in cui si provano diversi ruoli, in cui ci si immedesima in qualcun altro, in cui si cerca di cambiare prospettiva e, quindi, di assumere il punto di vista di un altro. E’ in questo modo, dunque, che i piccoli fanno pratica della vita degli adulti, costruendosi un mondo loro, che assomiglia a quello dei grandi, ma nel quale possono riversare paure e desideri che non sanno esprimere a voce. Inoltre, il gioco di finzione stimola la creatività e la fantasia infantili (ci vuole un bel po’ d’immaginazione per far finta che una sedia rovesciata sia un’automobile da corsa!!), sviluppa l’empatia (spinge il bambino a mettersi dal punto di vista degli altri, a cercare di capire cosa gli altri provano), è una buona palestra per allenare la mente al problem solving (c’è da cercare i materiali per costruire una casetta, per esempio, o trovare gli accessori necessari per giocare, oppure il numero di pupazzi sufficiente per giocare tutti insieme), aiuta a sviluppare strategie di pianificazione (anche se la narrazione nasce e si sviluppa sul momento, di solito si cerca una accordo sul “finale” del gioco) ed insegna ai bambini a cooperare e negoziare (poiché tutti vogliono interpretare l’eroe, devono essere fatti dei turni, altrimenti il gioco non può iniziare). Il bambino allora, durante l’infanzia, è come un attore che recita ruoli diversi e tesse storie diverse. Da anni ormai i ricercatori indagano con studi ed esperimenti le valenze socio-cognitive ed affettive del gioco di finzione e, recentemente (Knight, 2010) è stata addirittura dimostrata una stretta relazione tra il tipo di attaccamento ed il gioco di finzione: sembra infatti che le madri che instaurano un attaccamento sicuro con i propri figli riescano ad instaurare sessioni di gioco di finzione più lunghe e complesse, se paragonate con quelle di madri che instaurano con i figli un attaccamento insicuro. Il pretend play ha anche degli effetti positivi sui bambini affetti da autismo (Barton, 2010), perché li aiuta a mettersi in contatto con chi li circonda.

Il gioco di finzione, dunque, è positivo sotto tutti gli aspetti ed andrebbe incoraggiato non solo nell’ambito domestico come valida e stimolante alternativa alla tv ed ai videogiochi, ma anche nelle scuole materne, in quanto strumento di grande utilità per stimolare lo sviluppo complessivo infantile.

Dott.ssa Linda Savelli
linda.savelli72@gmail.com

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Linda Savelli, classe ’72, laureata in Filosofia e specializzata in Epistemologia Generale ed Applicata.

Ha partecipato a progetti di ricerca legati all’imitazione e pubblicato due articoli per la rivista Psicologia Contemporanea: “Imitatori Nati” (con Paola Farneti) e “Giochi che Imitano la Vita”. Ha pubblicato per Franco Angeli, in collaborazione con la Prof.ssa Paola Farneti il libro “La Mente Imitativa – Come e perché il nostro comportamento è influenzato dagli altri” (F. Angeli, 2013, Milano).