Adolescenti e media elettronici

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Quante volte, a genitori, nonni e tate, è capitato di entrare in casa e trovarsi davanti una scena come questa: il ragazzino con gli occhi incollati allo schermo del pc o della console preferita che non risponde al saluto o grugnisce distrattamente, la ragazzina che chatta allegramente con le amiche e posta messaggi su uno dei tanti social network a cui è iscritta e che non ti degna di uno sguardo. Inutile negarlo, i nostri figli, nipoti, alunni sono totalmente immersi in un mondo tecnologico, fatto di sms e post, chat e videogiochi, social network ed e-mail. Ogni adolescente possiede almeno un pc o uno smartphone con cui collegarsi con il resto del mondo (ma sarebbe più corretto dire del suo mondo) dalla sua stanza.

E’ finito il tempo delle “compagnie”, degli interminabili pomeriggi a ciondolare sulle selle dei motorini, fumando sigarette di nascosto dai genitori, dei bigliettini scambiati con l’amica del cuore; oggi i giovanissimi non hanno bisogno di lasciare la loro confortevole cameretta per fare amicizia, fare nuove esperienze, innamorarsi.

Non è questa la sede per decidere se sia giusta o sbagliata questa tendenza, però bisogna prendere atto che il mondo dei teenager è cambiato e che i giovanissimi si trovano perfettamente a loro agio in un mondo virtuale e globalizzato in cui si può trovare tutto e si può essere chiunque senza apparente pericolo.

È il momento di chiedersi: gli adolescenti sono capaci di discriminare ciò che incontrano in rete? Sono portati ad emulare modelli potenzialmente negativi, come ad esempio i protagonisti di alcuni videogiochi? Introiettano passivamente ed indiscriminatamente le notizie che trovano in rete o sono invece capaci di critica? Insomma, quanto è potente il fenomeno dell’imitazione in quest’età di cambiamenti così delicata e complicata?

Non è semplice dare una risposta univoca a queste domande, perché gli stessi studi dei ricercatori riportano risultati non sempre in sintonia gli uni con gli altri. Sembra, però, che ci siano dei punti sui quali tutti sono più o meno concordi: gli adolescenti passano molto del loro tempo davanti allo schermo della tv o del computer e osservare scene di violenza che favoriscono risposte aggressive nei soggetti (si pensi agli insuperati esperimenti di Albert Bandura degli anni 60 del secolo scorso, che hanno poi stimolato tutto un filone di studi incentrati sul connubio violenza in Tv – risposte aggressive).

Se già i bambini piccoli sono capaci di memorizzare e riprodurre in maniera accurata i jingle pubblicitari ai quali sono quotidianamente esposti (Lemish e Rice, 1986), è provato che l’utilizzo di videogiochi violenti aumenta il livello di aggressività nel giovane giocatore (Bushman e Anderson, 2001), inoltre, sembra che osservare scene violente in tv o in un videogame riduca il livello di empatia del soggetto, dato che spesso il comportamento aggressivo e violento spesso non è punito nei programmi e nei giochi, anzi, può essere premiato. Ma c’è di più: l’assistere quotidianamente a scene di violenza (nei telegiornali, nei film, nei giochi, nei video) porta a quello che forse è il fenomeno peggiore, cioè ad una sorta di desensibilizzazione del soggetto, di anestetizzazione emotiva, d’indifferenza indiscriminata verso la violenza virtuale quanto verso quella reale.

Naturalmente, il rischio di emulazione non riguarda soltanto la violenza: spesso i modelli preferiti dai giovanissimi sono quelli apparentemente anticonformisti, che non rispettano le regole e che per questo sembrano “grandi”, “liberi”, vincenti, insomma. Nel suo universo in formazione, costellato di dubbi e di inquietudine, il teenager tende a ricercare i propri eroi nei divi dello schermo, della musica e dello sport, persone che gli appaiono sicure, affermate, di successo. Purtroppo, non sempre i modelli che sceglie sono effettivamente dei buoni modelli ed anche in questo caso il bombardamento dei media su ogni aspetto della vita delle persone famose, porta i giovanissimi ad imitare comportamenti nocivi per la loro salute ed il loro futuro: uso di alcol e sostanze stupefacenti, comportamento antisociale o distruttivo ecc.

È chiaro che la soluzione non è e non dev’essere, da parte di genitori ed educatori, il divieto per i figli/alunni di guardare la Tv o di collegarsi ad internet, di chattare innocentemente con gli amici o di passare qualche ora alla settimana alla console: non sono i media in sé il drago da abbattere, ma l’uso che se ne fa, che non dev’essere indiscriminato, indifferente, lasciato al caso. La nostra avanzata tecnologia ha molto da offrire alle generazioni più giovani: un accesso più democratico alle banche dati, alle notizie ed al sapere in generale, una maggior semplicità di accesso a video e musica, modi più facili e meno costosi di comunicare con gli altri. Ciò che non bisognerebbe mai dimenticare è che tutto questo non può e non deve esimere gli adulti dal ricoprire il loro ruolo di guida nel labirinto della vita. Un figlio, uno studente non è qualcosa che si può “parcheggiare” davanti alla Tv o al computer, fosse anche per un programma educativo o per una ricerca, è un essere in fieri con mille domande e mille dubbi, che va seguito, supportato, ascoltato senza ingerenza, con rispetto e delicatezza, affinché possa diventare un individuo maturo, cosciente di sé e delle proprie potenzialità, del mondo in cui viviamo e di ciò che potrebbe fare per migliorarlo.

Le nuove generazione sono il futuro del mondo e non possiamo, né dobbiamo, lasciare che siano abbandonate a se stesse soltanto perché noi abbiamo troppo da fare o siamo troppo stanchi per ascoltare.

Dott.ssa Linda Savelli
linda.savelli72@gmail.com

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Linda Savelli, classe ’72, laureata in Filosofia e specializzata in Epistemologia Generale ed Applicata.

Ha partecipato a progetti di ricerca legati all’imitazione e pubblicato due articoli per la rivista Psicologia Contemporanea: “Imitatori Nati” (con Paola Farneti) e “Giochi che Imitano la Vita”. Ha pubblicato per Franco Angeli, in collaborazione con la Prof.ssa Paola Farneti il libro “La Mente Imitativa – Come e perché il nostro comportamento è influenzato dagli altri” (F. Angeli, 2013, Milano).